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Decimo Dan
di Marco Plebani

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    Casa Editrice: La Gru - 230 pagine
    Formati disponibili: cartaceo




  • Genere: Poesia

    Trama:
    Il titolo dell'opera fa riferimento metaforico al massimo grado delle arti marziali inteso come quel più alto livello di consapevolezza che la poesia fa raggiungere. C'è molto ritmo in Decimo dan, molta musica, molta creatività. L'idea di fondo dell'autore è stata disporre i componimenti in una sorta di concept, un po' come gli LP musicali che dipanano un tema in sezioni e lo risolvono con l'ultimo brano. Le metriche che usate variano dal sonetto al verso libero, al madrigale, fino alla còbbola provenzale; il tutto all'insegna di un prepotente andamento allitterante che non disdegna, però, anche l'uso delle figure semantiche più ad effetto, arrivando persino al calembour. I versi sono per lo più endecasillabi e/o versi sillabicamente dispari. Quello di Plebani è uno stile decisamente anticonvenzionale, tagliente e profondo.

    Recensione:
    La raccolta poetica "Decimo Dan" di Marco Plebani, edita da Edizioni Le Gru e pubblicata nel novembre del 2022, per la collezione Poesia Entropica, si presenta corposa e variegata.
    Una prima e intuitiva osservazione va riferita al titolo dell'intera opera, "Decimo Dan". In Giappone, i "Dan" sono i cosiddetti livelli di raggiunta competenza esperienziale per ciò che concerne le arti marziali. Di sicuro, traslando tale aspetto, l'autore, attraverso i suoi componimenti, dà prova del personale ed elevato livello di conoscenza raggiunto nel destreggiarsi nelle piccole e grandi sfide che la Vita gli propone: il lutto, l'incontro con altri esseri umani o, più in generale, viventi, nonché il contatto con l'Oltre.
    La struttura della pubblicazione consta di una prefazione a cura di Marino Simonetti, del nucleo centrale della silloge suddiviso, a sua volta, in tre tempi, quelli di una giornata: antimeridiano, pomeriggio e sera e, infine, la notte, mentre, a chiusura della silloge troviamo una postfazione redatta da Ricardo Pérez Márquez. Quest'ultimo, uomo di chiesa con il quale pare l'autore intrattenga un rapporto di scambio culturale in quanto lo si ritrova citato a margine di un componimento: "Tra i banchi dei servi di Maria".
    Non a caso, è possibile definire Plebani quale grande esploratore del mondo spiritual–religioso, frequentatore di luoghi sacri, le chiese, appunto, caratterizzate e ammantante dal Silenzio. Più nello specifico, si può dire che la dimensione dell'Oltre è ben presente nella raccolta in cui, sovente, vengono rivolte domande a un'entità divina, spesso chiamata in causa.
    La silloge è caratterizzata da più di 200 pagine di componimenti poetici di varia natura: dai cantici alle canzoni, fino a giungere ai sonetti, passando per diversi schemi compositivi e metrici (còbbola monostrofica, madrigali, haiku, ballate e così via). Tale varietà strutturale fa comprendere al lettore, ancora una volta, l'abilità scrittoria di Marco Plebani.
    Le tematiche, come già in parte detto, si dipanano dalle grandi, quali l'Amore, la Vita e la Morte, fino a approdare ad aneddoti di natura più semplice e quotidiana, come il rapporto con il proprio paese o il ricordo di un ragazzo seguito in un percorso educativo.
    In linea generale, si ravvisa una grande attenzione all'Umano (con la u maiuscola!) in quanto la netta sensazione che raggiunge il lettore è quella che l'autore si fa costantemente cura e carico di ogni singola creatura che incontra. Oltre ai ritratti di parole che Plebani disegna degli esseri umani, soprattutto giovani, adolescenti, mi ha molto colpito la poesia dedicata al fagiano ("Il fagiano ucciso"), nella quale traspare il potente rispecchiarsi tra colui che scrive e che ha compiuto, involontariamente, un gesto nefasto a discapito dell'animale e il volatile stesso. Particolarmente emblematici risultano essere gli ultimi versi di tale componimento: "Quando moriro` /vorro` conoscere la tua sembianza vera e chiedere /scusa a tutte le anime del mondo.", dai quali traspare una profonda empatia e fratellanza che accomuna tutte le creature terrene e che necessita di essere costantemente ricordata a discapito del moto di umana supremazia. Inoltre, alcune poesie si presentano come delle vere e proprie chicche; l'impatto è forte e immediato in chi legge, forse, tale effetto è dato anche dal fatto che si tratta dei componimenti più brevi, mi riferisco a "Scendiletto" e a "La mia costante pratica dello zen nei piccoli comuni dell'occidente cristiano", solo per citarne alcune. A tal proposito è d'uopo anche soffermarsi sulla spiccata autoironia che caratterizza questo autore; sin dalla dedica con cui apre l'opera, infatti, si evince che Marco Plebani è capace di osservarsi con un occhio sardonico, disincantato e privo di filtri, che lo rendono – attraverso la sua opera – un uomo vero, conscio di sè.
    Più in generale, lo sguardo dell'autore risulta acuto e penetrante, capace di offrire al lettore una visione altra, differente, divergente degli accadimenti della vita. Un ulteriore esempio è dato dal componimento intitolato "Un funerale è", il cui ultimo verso recita: "un invito alla vita". Si nota come tutto può essere capovolto, grazie e attraverso una visione aperta e poco dogmatica di ciò che si vive e ci attraversa.
    La silloge "Decimo Dan" offre, ad ogni pagina, arguti spunti di riflessione, attraverso un linguaggio vivo. Spesso, infatti, l'autore fa uso di neologismi, verbalizza sostantivi, insomma gioca con le parole, stimolando, sotto traccia, anche l'acume e la creatività di chi legge.
    Anche per questo è possibile affermare che "Decimo Dan" è una raccolta poetica densa e sostanziosa, che va assunta quale piccola dose giornaliera di saggezza vissuta, concretamente esperita e che ci ricorda che tutto, ma proprio tutto, a questo mondo può trasformarsi in una tela poetica caratterizzata da innumerevoli sfumature di colori, quelli della Vita.
    (Sveva Borghini)



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