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Volontario ad Auschwitz
di Jack Fairweather
Traduzione a cura di: B. Messineo

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    Casa Editrice: Newton Compton Editori - 403 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Storia

    Trama:
    Witold Pilecki, membro della resistenza polacca, si offre volontario per una missione ad altissimo rischio: farsi catturare dalle SS, entrare nel lager e raccogliere quante più informazioni su ciò che avviene lì dentro. Se possibile, dovrà anche sabotare le attività che vi si svolgono. Ma una volta all'interno di Auschwitz, Pilecki capisce che quello non è un normale campo di prigionia. L'orrore della Soluzione Finale nazista lo spinge allora a tentare il tutto per tutto: evadere, raggiungere l'Europa dell'ovest e informare gli Alleati delle mostruosità che avvengono in quel posto. Una missione che sembra un vero e proprio suicidio. Censurata dal governo comunista polacco nel dopoguerra, la straordinaria storia di Pilecki viene riportata alla luce in questo libro. Attraverso diari, testimonianze e documenti a lungo secretati, Jack Fairweather ricostruisce una delle vicende più scioccanti della seconda guerra mondiale. La tragica fine della missione di Pilecki, infatti, non fu decisa ad Auschwitz, ma nelle stanze segrete di Londra e Washington…

    Recensione:
    "Volontario ad Auschwitz" di Jack Fairweather è la storia straziante di un uomo che ha contribuito a portare gli orrori di Auschwitz nel registro pubblico e un ricordo agghiacciante del male accaduto a causa dell'ideologia nazista. E' storia, ben scritta e compiutamente illustrata, di Witold Pilecki, polacco, proprietario terriero e ufficiale dell'esercito che, nonostante le sue convinzioni, intraprese una coraggiosa lotta contro lo svolgersi dell'Olocausto ad Auschwitz.
    Perché "nonostante"? Perché Pilecki è una di quelle figure paradossali e contraddittorie che è stata oggetto di glorificazione con la tardiva testimonianza dei suoi atti coraggiosi. Probabilmente è finito dalla parte sbagliata della storia per molto tempo, perché i suoi atti di resistenza non si sono fermati dopo la conclusione della seconda guerra mondiale: dopo essersi completamente estraniato, o meglio alienato dalla famiglia, ha contestato il successivo regime repressivo del potere comunista di Stalin. Cosa sarebbe successo se Churchill avesse fatto a modo suo e dalla guerra fosse uscita una Polonia democratica? Personalmente penso che per Pilecki, dopo tutto quello che aveva passato, sarebbe stato difficile tornare a qualsiasi forma ordinata di società.
    Proprio come Oscar Schindler dall'altra parte della barricata, ha qualcosa che rema contro di lui, alcuni bordi pungenti che alterano la sua aura di eroe: innanzitutto è uno di quegli eroi della classe dirigente. Non è lo scagnozzo intellettuale di un gruppo emarginato che prende le armi contro i "poteri forti". Cavalca in guerra come ufficiale di cavalleria dell'esercito polacco carico di un chiaro senso del dovere e di un fervore patriottico. La guerra contro i Russi aveva dato alla Polonia il diritto di rinascere, e questo diritto doveva essere protetto. Ancora, condivide molte delle convinzioni dell'élite polacca: patriottica, anti-bolscevica, antisemita, a favore della legge e dell'ordine. E' un padre di famiglia ma, per dovere ed amor di patria, trascura e abbandona la famiglia (sebbene rimanga con sua cognata a Varsavia) per vivere nelle ombre di un movimento di resistenza. Qui chiunque avesse dovuto scrivere di Pilecki sarebbe rimasto impantanato in contraddizioni: padre di famiglia o no? Ponte nel panorama fratturato politicamente e razzialmente dei movimenti di resistenza o separatore che rimane fedele alle sue convinzioni antibolsceviche e antisemite? Fairweather opta per il primo caso. Due volte. Il lettore ha bisogno di un eroe costante e politicamente corretto. E' difficile scrivere di un eroe moralmente oscillante e conflittuale, quando i lettori vogliono una semplice storia in bianco o nero, buono o cattivo. Quindi Fairweather fa del suo meglio, lasciando però trasparire alcuni dubbi. Ma decide anche di nutrire il suo eroe, come vogliono i suoi lettori, cosa che alla fine gli si ritorce contro: dopo che il peggio è passato, Pilecki non si riunisce con la famiglia, vede a malapena i figli, opta per vivere e continuare a combattere nell'ombra, non si lega agli ebrei, viene catturato da informatori sovietici, condannato a morte e non perdonato nonostante tutti i tipi di chiamate in tal senso agli ex detenuti di Auschwitz e al premier polacco. Perché, se era stato un così buon padre di famiglia, un tale combattente contro l'olocausto?
    Sono questi gli ingredienti affascinanti per il racconto di uomini come tanti, vissuti in periodi significativi e terribili della Storia, che gli scrittori ci restituiscono trasformati in eroi controversi; Fairweather ci riesce pur dichiarando i suoi dubbi nella prefazione.
    Lo stile di scrittura di Fairweather è quasi impeccabile al punto che, nonostante l'orrore assoluto suscitato in tanti passaggi, è difficile smettere di leggere.
    Consiglio vivamente questo libro che merita di essere letto da chiunque abbia anche solo un vago interesse per la storia. Dovrebbe anche essere nell'elenco delle letture di ogni studente. Sono ancora troppi quelli che cercano di negare che l'olocausto abbia avuto luogo ed è così importante che le atrocità, commesse in nome di un'ideologia deviata, siano costantemente riportate alla memoria.
    (Luisa Debenedetti)

    Citazioni da questo libro:
    Guardavamo la lenta dipartita di un compagno e una parte di noi moriva con lui... E se muori in questo modo per una novantina di volte almeno diventi per forza qualcun altro.

    E vedendo il crematorio, con la ciminiera scura che si stagliava contro il cielo, aveva finalmente capito il vero significato della scritta sopra il cancello. Il lavoro rende liberi Nel senso che permetteva di "liberare l'anima dal corpo... mandando il corpo... nel crematorio"

    Le porte delle celle erano aperte. La luce di una singola lampadina nuda illuminava i corpi, così pressati nello spazio angusto che anche da morti erano rimasti in piedi. Gli arti premuti gli uni contro gli altri, gli occhi che spuntavano dalle orbite, le bocche aperte, i denti scoperti in un grido muto.

    I primi di marzo, i pochi sovietici sopravvissuti furono trasferiti nei nuovi prefabbricati del campo di Birkenau, ormai terminato. I detenuti lo chiamavano ironicamente "il paradiso", perché essere mandati là equivaleva a morire.

    In poco più di due mesi, i morti tra gli ebrei si aggiravano intorno ai trentacinquemila. Fu allora che Witold iniziò a comprendere lo smisurato orrore del progetto nazista.

    Il suicidio era prassi comune. La mattina spesso c'era una vera e propria tenda di corpi impiccati davanti alle latrine. Erano consapevoli di aver visto troppo: alla fine, i nazisti li avrebbero uccisi comunque.

    Voleva che la gente provasse la stessa, legittima rabbia che aveva sentito lui non appena era arrivato al campo di concentramento. Ma quando raccontò gli orrori di Auschwitz ai suoi amici quell'autunno, notò che loro cambiavano argomento, o peggio, cercavano di tributargli la loro compassione.

    Witold osservò la scena senza commentare. Era andato a cercare risposte, ma non ne aveva trovata nessuna.

    "Con queste parole / supplico di essere punito / con la somma delle pene, / perché preferisco perdere la vita / che vivere con una simile ferita nel cuore"

    Gli uomini di Witold sono morti in modi terribili e dolorosi, ma l'hanno fatto con una dignità che il nazismo non è riuscito a intaccare.
    Witold se n'è andato con la consapevolezza di non essere riuscito a portare il suo messaggio. Spero che questo libro ci aiuti ad ascoltarlo.



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