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Via di fuga
di Francesca Tajariol

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    Casa Editrice: Indipendente - 141 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Poesia

    Trama:
    Sentivo il desiderio di pubblicare un libro fin da quando ero ragazza, per raccontare la mia storia e dare un senso alla sofferenza provata.
    Sono stata anoressica e bulimica per oltre venti anni della mia vita. Nel frattempo sono sopravvissuta come meglio ho potuto, indossando una maschera per nascondere il dolore.
    Il cibo era la mia ossessione, una droga che mi consentiva solo apparentemente di colmare le lacune affettive. Quando mi sono messa in testa di cambiare, sembrava troppo tardi ed ero sola, ma ho lottato con tutte le mie forze perché avevo diritto ad una vita normale.
    La raccolta di poesie nasce da questa ferita.
    Ho ripreso in mano i miei diari giovanili a distanza di trent'anni, quando nel periodo del lockdown da Covid-19 mi è tornata la voglia di scrivere, favorita dal senso di isolamento e di solitudine.
    Ho rivisitato alcune delle mie vecchie poesie, mentre altre le ho lasciate intatte, per non intaccare la semplicità e l'innocenza, né la sofferenza dirompente, che traspaiono dai versi.
    Insieme alle composizioni recenti, nate durante il "cammino" nella natura, ho dato forma a questa raccolta autobiografica, dove emerge, in chiave poetica, il percorso introspettivo che ha contribuito alla mia evoluzione.

    Recensione:
    "Via di fuga" è l'esordio poetico di Francesca Tajariol.
    Ed è una raccolta avvincente di poesie che rivelano lotte interiori, dolore umano crudo e disperazione che molti di noi (e mi ci metto anch'io) conoscono bene, ma di cui pochissimi osano parlare. L'Autrice tocca con sensibilità e precisione le emozioni umane più oscure e strazianti, offrendo ad un certo punto un raggio di speranza, una via di fuga dalla prigionia del vuoto dell'anima.
    Ed è il vuoto il punto di partenza, descritto in modo intenso e senza retorica, autocommiserazione o recriminazione di sorta.
    Ridotta e rimpicciolita, per eccessivo complesso di inferiorità, per paura di crescere, giudicare o essere giudicata, per paura di affrontare le responsabilità che la vita comporta, Francesca ci fornisce una meticolosa e dettagliata, quasi clinica, descrizione psicologica e comportamentale dei disturbi alimentari che l'Autrice ha vissuto in prima persona, ed è autorizzata a scriverne quanto mai appropriatamente, in maniera autobiografica, scegliendo il tratto leggero, delicato ma potente della poesia.
    La natura, le amate montagne, l'Amore e l'amicizia sono in quel raggio di speranza che ho citato sopra, perché ad un certo punto l'Autrice si rende conto che la luce interiore dell'anima cui aggrapparsi, per risalire, è l'io che, come spettatore esterno, chiede di essere ascoltato, di aprirsi verso la via della salvezza, fino a perdere il controllo e abbandonarsi, abbandonare pian piano le ossessioni che caratterizzano questa insidiosa e infida malattia, che distrugge la mente, prima ancora che il corpo!
    Potrei dire che la prima parte è poesia della mancanza, del bisogno di amore che ci guida nei meandri di una delle forme più difficili del disagio contemporaneo della nostra società.
    Il libro non solo fornisce un senso di risonanza per coloro che sperimentano un dolore simile, ma dà anche un'idea su come possiamo essere lì, l'uno per l'altro, in modo più compassionevole e all'insegna del dialogo col mondo, entro un verso che cerca di ricucire, nelle maglie di una memoria ora distante ora più vicina, il presente di una coscienza e di un dolore non disperso ma riportato al credo del suo vivere.
    E' un successo che Francesca ce ne parli, che ce ne possa parlare con relativo distacco, perché oramai superato, o meglio, messo in disparte da tempo.
    Persiste, tuttavia, un'ansia, uno scollamento che cerca ascolto a cui la parola presta servizio nella registrazione di un sé divaricato, tragicamente diviso ma anche in qualche modo, per questo, teneramente carezzato, cullato a tratti in quelle parti che non convergono tra l'io e la sua incompiuta ma desiderata possibilità. Così è anche un percorso di consapevolezza quello che la mano della scrittrice, nel suo scorrere libera, testimonia partendo dalla registrazione del corpo che si riempie e si svuota, si riempie e si svuota, ripetendo i movimenti metabolici che riposano solo nella morte, uno stato in cui potremmo dire che l'Autrice descriveva nelle poesie della prima parte della raccolta.
    Umile protagonista di un insegnamento che viene dalla virtù dell'abbandono, dal sapersi spingere in avanti, Francesca procede nella sospensione di piccoli segnali, di piccole aperture nel tentativo di confidenza di un disagio che, affidato alla sua scansione, possa in qualche modo sciogliere o almeno lenire l'inconciliabilità del proprio difficile equilibrio. Ed è la sapienza del verso, allora, entro le strofe a sostenerne l'eco, il riflesso in cui il silenzio nell'apparire delle sue feritoie sa reindirizzare nelle tracce acquietandone nel distacco le interrogazioni.
    Sorretto da una fede nella nominazione il cui bene è già nell'esplicazione del dire, il dettato si nutre di osservazioni, di passaggi tra corpo e anima, natura e anima, nel cui abisso l'io lotta per rifondarsi nell'accettazione trasfigurante di un sé corporeo da amare e che può essere amato.
    La maturità di questa prima prova si fa più evidente risolvendo, via via in contemplazione lirica, quegli spazi in cui la parola sa liberare del senso di un partecipe e comprensivo vuoto.
    Eppure, proprio quando il gioco della scrittura sembra salvare dalle dispersioni, ho osservato come l'autrice, talvolta, ne smorzi la forza, ingolfando e abbassando il tono del il discorso con parole che richiamano testi di canzoni famose o semplici rime baciate.
    Ciò però non cancella la bontà di una meditazione e di un percorso sulla via della serenità e di quel coraggio che auguro a Francesca di non perdere mai.
    (Luisa Debenedetti)

    Citazioni da questo libro:
    "E allora continuo a sopravvivere, tentando l'ardua salita,
    se mai arriverà il giorno in cui
    la mia vita esprimerà per me
    le parole mai dette
    e le morti taciute."
    (da "Gioventù strappata")

    "Sola,
    più che mai
    in questo mondo cieco.

    Dove nulla posso
    e tutti possono.

    Io non posso dire
    volere il giusto ed esigere il rispetto, ma posso combattere.

    Attingere dal mio pozzo vuoto
    fino in fondo all'anima."
    (Sola)

    "Guardarsi dentro.
    Fa male sempre,
    anche ora che son grande
    non smetto di pensare
    a farmi male."
    (da "Caduta libera")



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