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Muhammad Ali.
Il guerriero che sapeva volare

di Massimo Cecchini

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    Casa Editrice: Diarkos - 294 pagine
    Formati disponibili: cartaceo e ebook




  • Genere: Biografie

    Trama:
    Se la vita di ognuno di noi finisce per essere un combattimento contro il mondo e i fantasmi che ci portiamo dietro, quella di Cassius Clay - l'uomo che volle diventare Muhammad Ali - può essere raccontata in otto riprese, tante quanti i round che gli furono necessari per battere George Foreman nel match più importante della sua carriera, e forse della storia della boxe. Dalla Louisville dei primi passi a quella delle esequie planetarie, il suo finisce per essere il racconto vincente e doloroso della storia recente degli Stati Uniti e di un percorso culturale che riguarda, in fondo, anche tutti noi. Ma talento e convinzioni non bastano per spiegare la genesi di un campione grande e imperfetto, diventato simbolo di lotte civili e totem di diverse generazioni. Dietro c'è anche altro, probabilmente quello che, nel giorno del funerale, Belinda, una delle sue ex mogli, ha sintetizzato così: "Aveva un disperato bisogno di essere amato". Quanto basta perché milioni di persone, da quel giorno, abbiano potuto dire: "Anche io sono Muhammad Ali".

    Recensione:
    "Muhammad Ali - Il guerriero che sapeva volare" di Massimo Cecchini, lo dice il titolo, è la biografia del più grande pugile di sempre: The Greatest.
    Perché un altro libro su Muhammad Ali? Perché i problemi degli anni sessanta sono ancora con noi - razzismo, operazioni segrete, guerra, apartheid economico nazionale e globale - il libro di Cecchini è ancora attuale. Sarà particolarmente illuminante per coloro che pensano che Martin Luther King Jr. avesse solo un sogno. Potrà anche ispirare coloro che hanno vissuto negli anni sessanta: ricordare i sacrifici fatti, le vittorie, il lavoro incompiuto.
    Esuberante, poetico, paradossale e bello, Ali trascese ogni singolo tentativo di catturare la sua pienezza. Libri e film abbondano, dando prima uno sguardo, poi un altro. La sua storia - drammaticamente intrecciata con la storia - è, ovviamente, irresistibilmente seducente, ma spesso travolge la storia dei suoi tempi. La virtù del libro Cecchini, frutto di lunghe e appassionate ricerche, è l'equilibrio e l'offerta di un quadro più ampio, a tutto tondo.
    All'inizio parla Ali in prima persona: è il 29 ottobre 1974 durante l'incontro, che passerà alla storia come "The Rumble in the Jungle" svoltosi a Kinshasa nello Zaire contro George Foreman e il libro si divide in otto round, come appunto quest'incontro.
    Come spesso accade nelle biografie, Cecchini non tiene conto della cronologia e ciò è un'ottima strategia per mantenere viva l'attenzione. Muhammad Ali è presentato attraverso il prisma della storia degli Stati Uniti, è stato coinvolto in diritti civili, è stato vicino a Malcom X e si è rifiutato di partecipare alla guerra del Vietnam.
    Emerge un personaggio accattivante per la sua grande ingenuità, spesso contraddittorio, a volte inquietante eppure goffo e sensibile, e con un meraviglioso gioco di gambe. Cassius Clay diventato Muhammad Ali a seguito della conversione all'Islam è un pugile eccezionale, carismatico e seducente, dislessico dalla lingua sciolta vuole essere ascoltato in un momento storico, l'America degli anni '60, in cui i neri tacciono; è un mostro vivente che la folla adora, è The Greatest. E' anche un uomo che dovrà semplicemente combattere la sua ultima battaglia non sul ring ma contro il morbo di Parkinson in cui la boxe ha sicuramente giocato un ruolo, Muhammad Ali non si è fermato in tempo, impigliato nel suo ruolo di pugile, nei suoi impegni dalle folli somme. Dopo aver finalmente appeso i guantoni, la sua popolarità non si è indebolita, al contrario, è diventato un modello, quasi un saggio per questa America che si trasforma nel suo passato, una miscela piuttosto omogenea di razzismo spudorato e sogni di grandezza realizzati.
    Ali è il rappresentante di questa miscela è un enigma morale: Muhammad Ali abbracciato da una cultura che una volta sfidava. Perché Ali accetta l'abbraccio? Contraddice la sua storia di redenzione e lo spirito degli anni sessanta. La storia di Ali termina così in una tragica ironia. Certo, non sarebbe così toccante se l'eroe non fosse di un'incandescenza di di portata planetaria. Apparteneva al mondo, non all'America.
    Nel libro possiamo evidenziare tre tipi di redenzione nella vita di Muhammad Ali: esistenziale, atletica e osmotica. I primi due sono autentici e stimolanti. Il terzo è cautelativo e scoraggiante. L'esistenziale racconta una storia di auto-redenzione a partire dal 1964, una radicale ricreazione di sé nel crogiolo della storia. Minacciato di essere imprigionato, privato del passaporto e del titolo di pugilato, Ali si guardò allo specchio interiore, vide Allah e sfidò la cultura americana e la macchina da guerra del presidente Johnson.
    Condannato come fuorilegge nella sua terra di nascita, Ali divenne una voce ascoltata in tutto il mondo; una stella cadente in tutto il pianeta; un faro per la lotta universale per i diritti umani.
    La seconda storia di redenzione, l'atletica, culminò nel "Rumble in the jungle", la corona gli era stata tolta e l'odissea di Ali nella lotta per il titolo aveva il mitico bagliore del ritorno del re. Ali aveva detto: "Sono il più grande". Intendeva dimostrarlo; e lo fece.
    La terza storia di redenzione illustra il potere dell'osmosi culturale: la trasformazione di Ali da reietto a eroe si incarna nella sua apparizione alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici del 1996 ad Atlanta. Nonostante la malattia, Ali sollevò il braccio tremante e accese la miccia che portava al braciere olimpico sovrastante lo stadio.
    Questa terza, pseudo-redenzione provoca nel lettore un prurito etico. Ali negli anni Novanta ha prestato il potere della sua celebrità agli interessi corporativi che una volta sfidava notoriamente. Questo è un tragico difetto. Le azioni di Ali non erano semplicemente paradossali o stravaganti; hanno contraddetto la sua precedente chiarezza, coraggio e coerenza.
    La terza "redenzione" di Ali è un mito sulla trasformazione dell'élite di potere; l'eroe reietto che viene accolto dalla grande madre è un affare faustiano. L'uomo che aveva sfidato l'establishment americano fu preso nel suo seno. Lì si prodigò con un affetto che era stato straordinariamente assente trenta anni prima, quando per diversi anni regnò incontrastato come la figura più insultata nella storia dello sport americano.
    Ma se riflettiamo, la pratica di spingere il proprio avversario a sottomettersi ha molto più in comune con l'imperialismo americano che con il movimento trasformativo per la pace e la giustizia che era il cuore e lo spirito degli anni sessanta.
    Ognuno di noi è in qualche misura colpito ogni giorno dal mondo moralmente osceno e assurdo in cui viviamo, ci muoviamo e abbiamo il nostro essere. Anche Ali era plasmato dall'egemonia culturale del capitalismo americano, elaborata dalle circostanze ma, nel senso migliore di Camus, è rimasto ribelle.
    Come "le lampeggianti campane di libertà" di una canzone di Dylan, la rivolta esistenziale di Clay ha colmato il personale e il politico.
    Accattivante, questa è la parola che chiuderà la mia recensione. Libro ben scritto, che richiama lo stile affabulante di Federico Buffa, sulla vita di un grande uomo che ci ricorda che abbiamo ancora molta strada da fare per raggiungere la giustizia sociale e che le battaglie socio-politiche degli anni Sessanta sono tutt'altro che finite.
    "Tolling for the aching ones
    whose wounds cannot be nursed
    For the countless confused, accused, misused,
    strung-out ones an' worse
    An' for every hung-up person
    in the whole wide universe
    An' we gazed upon
    the chimes of freedom flashing"
    Bob Dylan, "Chimes of Freedom"
    (Rintoccavano per i malati,
    le cui ferite non possono essere curate
    Per l'innumerevole schiera dei confusi, accusati, maltrattati,
    disillusi o peggio
    E per ogni uomo ossessionato
    nell'intero universo
    E osservammo
    le lampeggianti campane di libertà)
    (Luisa Debenedetti)

    Citazioni da questo libro:
    "Voi avete una regina, ma io sono il re". E così, il giorno del match, decide di salire sul ring di Wembley indossando un mantello di ermellino sulle spalle e una corona sulla testa"

    "Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro"

    "Il penultimo giorno di permanenza andò volontariamente a portare il pranzo ai reclusi nel braccio della morte (...) Un detenuto lo riconobbe subito e si mise a picchiare la mano sulla parete, ridendo ad alta voce (...) Un altro però lo rimproverò: 'Che cosa ci trovi di così divertente?' la replica fu immediata come un jab di un pugile. 'Se Muhammad Ali mi serve il pranzo, non sono ancora morto. Solo chi non trova più motivo di ridere è morto. E' vero campione?' Ali non disse niente, ma tutti videro che aveva gli occhi pieni di lacrime."

    "Il 4 giugno 1996, Ali si riprese il mondo. Lo fece a sorpresa, anche qui accarezzando il passato: la medaglia d'oro a Roma 1960 apparve come ultimo tedoforo ad accendere il fuoco olimpico dei Giochi di Atlanta, davanti a tre miliardi di persone. Il più veloce e il più ciarliero atleta della storia, fermo sulla piattaforma, mentre la cera bollente gli scivolava sul braccio senza provocare reazioni, tremò silenzioso in faccia al pianeta. Per una volta simbolo collettivo non delle nostre potenzialità, ma delle nostre debolezze esposte e, proprio per questo, della grandezza che ci sa accompagnare, invisibile, in ogni momento. Quel giorno tutti scoprirono che davvero Muhammad Ali era stato il più grande(...)"



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