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Pecunia non olet.
La mafia nell'industria pubblica.
Il caso Finmeccanica

di Alessandro Da Rold

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    Casa Editrice: Chiarelettere - 227 pagine
    Disponibile in formato cartaceo e ebook




  • Genere: Informazione

    Trama:
    La mafia che non uccide ma vende armi. Elicotteri, mitragliatrici, bombe, fregate militari: un arsenale ricchissimo e pronto all'uso là dove le guerre causano morti e arricchiscono i portafogli di speculatori e dittatori. La storia raccontata da Da Rold è incredibile perché fa vedere come l'illegalità criminale possa trasformarsi in una pratica normale e ripetuta, al punto che un latitante come Vito Palazzolo, "uno dei soggetti più pericolosi della comunità criminale internazionale", ricercato già da Giovanni Falcone e finalmente arrestato nel 2012, riesce a entrare nei salotti buoni del commercio internazionale e vari governi. A dire di no sono pochi: alcuni valorosi magistrati del Sud, di Napoli e Palermo, cui si affiancheranno quelli del Nord, di Busto Arsizio e di Milano. Dice di no, pagandone il prezzo, anche Francescomaria Tuccillo, avvocato e manager napoletano, direttore di Finmeccanica per l'Africa subsahariana. Nonostante il vento spiri a favore di chi agisce nell'illecito, alla fine la verità vincerà. La partita è enorme: in gioco c'è il destino del colosso della difesa, attraversato da scandali e arresti e da un intrico di poteri, in cui si mescolano politica, servizi segreti, mafia, massoneria, criminalità organizzata, che ha compromesso la competitività dell'industria italiana e messo in gioco il futuro economico del nostro paese, la sua capacità di creare lavoro e il suo ruolo sullo scacchiere internazionale.

    Recensione:
    "Pecunia non olet", di Alessandro da Rold, reca come sottotitolo "La mafia nell'industria pubblica - Il caso Finmeccanica".
    Il titolo è una famosa locuzione latina che, tradotta, significa "il denaro non ha odore".
    Questa frase (cit. Vocabolario Treccani) è attribuita all'imperatore romano Tito Flavio Vespasiano (9-79 d.C), egli la pronunciò in quanto il figlio Tito lo rimproverò per aver messo una tassa (centesima venalium) sull'urina raccolta nelle latrine private. La storia narra che Tito avrebbe lanciato, per sfidare il padre, delle monete in una latrina e lui noncurante del fetore le avrebbe raccolte con le mani e annusate pronunciando la famosa frase. Ad oggi questa frase è utilizzata in maniera cinica per affermare che il denaro rimane denaro a prescindere da dove esso provenga.
    E' appunto quest'ultima, cinica affermazione che rappresenta il binario su cui corre, come un treno ad alta velocità il libro inchiesta di Da Rold.
    In sintesi è la ricostruzione, riccamente documentata e circostanziata, dell'evoluzione parallela della mafia e dell'industria italiana della difesa.
    Mafia e Stato (non solo nell'ambito delle sue aziende partecipate) sono due mondi che abbiamo purtroppo scoperto essere spesso in contatto, inoltre le armi (insieme alla droga) rappresentano per Cosa nostra un settore economicamente molto appetibile e politicamente rilevante.
    Sui due palcoscenici affiancati vi sono due protagonisti che interpretano i seguenti ruoli: la criminalità e la legge, l'omertà e la trasparenza, il compromesso affaristico senza scrupoli e l'etica professionale senza incertezze. Questi due personaggi sono: Vito Roberto Palazzolo, "Vitu u Pallunaru" alias Robert von Palace Kolbatschenko e l'avvocato napoletano Francescomaria Tuccillo, a far da convitato di pietra la politica dei vari governi di centrodestra avvicendatisi negli ultimi 25/30 anni.
    Il saggio è molto ben strutturato, chiaro, ricco di elementi imprescindibili per la buona conoscenza dei fatti, che rappresenta un buon punto di partenza per consentire al lettore la ricostruzione di una vicenda che non è conclusa, che da anni è nel mirino della magistratura (Giovanni Falcone fu il primo a indagare sugli affari di Palazzolo) ma che farà progressi sostanziali grazie al coraggio, alla rettitudine e serietà professionale di Tuccillo.
    Tanti anni di storia di un paese che non si scandalizza più, che confonde mafia e antimafia in una geremiade indistinta e nel quale gli intrecci tra potere politico e potere criminale acquistano dimensioni tali da evocare il bacio tra Andreotti e Riina come una galanteria da Prima Repubblica.
    Personalmente mi è accaduta una cosa strana: ho letto questo testo con la stessa ansietà con cui si legge un libro giallo, catturata da dettagli impensabili che mi hanno indotta a chiedermi: ma è possibile? E' possibile che un personaggio, tristemente noto per gli stretti legami con la mafia, come Vito Palazzolo, abbia potuto arricchirsi con i suoi sporchi affari a discapito di industrie multinazionali (vedi Agusta Westland) e muoversi liberamente per il mondo pur essendo pluriricercato? E' possibile che un popolo, quello italiano nel caso di specie, sia tanto stolido da perseverare nell'affidarsi a una classe politica che ha più volte dimostrato, anche alla luce del sole, di mettere i propri interessi (e quelli dei propri familiari e lacchè) al di sopra del bene comune e che non disdegna di fare affari con la malavita organizzata della peggior specie? E' possibile che un uomo onesto, giunto per merito ad una carica di primo piano in un azienda "a partecipazione statale" come Finmeccanica, venga messo alla porta per aver presentato le sue rimostranze al fine di fare luce su una situazione torbida? La risposta, sta nei fatti: evidentemente SI.
    Il testo, a cui si può solo rimproverare una forse eccessiva attenzione alla biografia di "Vituzzo", scandaglia approfonditamente le indagini, mette a disposizione numerose requisitorie, atti, dichiarazioni, fa parlare i fatti, lascia spazio al lettore di formare il proprio pensiero sulle vicende.
    Un libro di cui consiglio la lettura perché ci si renda conto che la mafia non è più solo bombe o efferati delitti, è diventata più tecnologica, è un cancro che ha metastasi dal sud al nord del Paese, dilaga oltre i confini. E molti sanno ma quasi nessuno parla.
    (Luisa Debenedetti)



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