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Genere: Narrativa

Trama:
All'alba del Novecento "qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato". Com'è noto, nel volgere di un anno una giustizia folle e inafferrabile condurrà gli eventi al tragico epilogo della pena capitale e di una raccapricciante esecuzione sommaria. "Giuseppe" è la trasposizione di quella storia nell'epoca in cui l'imponente processo della morte di Dio, che il nietzschiano epitaffi o data a oltre un secolo addietro, è giunto alla dissoluzione dell'autorità e della giustizia. Narra il salto dal mondo della drammatica "Lettera al padre" a quello in cui i padri portano i jeans strappati e le scarpe da ginnastica e si muovono, ragionano e vivono come i loro figli. Nel ventunesimo secolo la tragedia dell'alter ego di Franz Kafka si capovolge: non più un innocente assassinato da una giustizia onnipotente, ma un colpevole sopraffatto dalla colpa, causa l'impotenza della giustizia e la sua impossibilità ad attendere alla propria funzione sociale: imporre all'imputato una pena, salvandolo e risparmiando alla collettività violenze e sofferenza.

Recensione:
"Giuseppe" di Michele Comper è un romanzo in cui l'Autore propone la rilettura, in versione ribaltata ed in chiave contemporanea, de "Il processo" di Franz Kafka.
Il confronto con Kafka è fatto a colpi di stile e d'immaginazione, non certo d'argomenti. E non so fino a che punto la lettura che segue permetta, se corretta, di apprezzare e valutare se questo lavoro aggiunga qualcosa, senza nulla togliere all'opera di Kafka. Posso solo confessare che ho rilevato una leggera patina di presunzione che mi fa chiedere maliziosamente a Comper se non ha avuto alcuno scrupolo o rimorso nel modificare un capolavoro.
Certo, l'Autore compie un viaggio in piena autonomia, "Giuseppe" non è propriamente basato sul romanzo, bensì "ispirato" dal romanzo di Kafka, che figura nell'impresa come una sorta di partner e collaboratore. E che collaboratore!
Se Josef K. viene accusato di qualcosa che rimarrà per sempre ignoto a lui e al lettore, Giuseppe è colpevole di omicidio; questo è il ribaltamento principale della vicenda che Comper ha l'abilità di gestire con una narrazione limpida e distaccata, dallo stile disadorno fatto di dialoghi tiepidi tendenti al freddo, mettendo il lettore nelle condizioni di essere spettatore di una pièce teatrale profonda, surreale, cervellotica, visionaria e delirante in cui il protagonista grida la sua disperazione in questo mondo in cui il vuoto, l'incomunicabilità, l'assenza di empatia la fanno da padroni.
Il lettore/spettatore si trova ad assistere ad una minuziosa rappresentazione sia della realtà, sia del labirinto onirico asfissiante e claustrofobico di Giuseppe. Non mancano scene corali in cui entra in scena la più svariata umanità, composta da monadi armate di cellulare o partecipanti alienati, inquietanti e surreali del funerale della vittima.
Un personaggio rilevante, sempre presente e attivo, è il senso di colpa angoscioso, oscuro eppure straordinariamente abbagliante che accompagna Giuseppe nella sua tragica odissea che si rivela contagiosa, come se fosse un virus.
Giuseppe morirà senza aver realizzato il sogno impossibile dell'assoluzione assoluta, dopo aver sperimentato situazioni paradossali con la giustizia e la religione. Il lettore/spettatore è al centro di situazioni tanto paradossali da non poter scegliere come rapportarvisi, tutto è inconcepibile ma vero, spinto al limite estremo della verosimiglianza che non viene mai sorpassato con nettezza. L'assurdità procede in un crescendo graduale e ci porta a vivere come realistiche, immedesimandoci col protagonista, circostanze del tutto improbabili, anzi incredibili, quasi impossibili. Kafkiane, appunto.
L'inizio dell'ultimo capitolo, sembra ricalcare quello de "Il processo" ma, procedendo verso il finale ci lascia il dubbio angosciato di un buon lavoro che ci descrive, ci illumina, ci definisce, sia pure nella fobia tarlata, irriferibile eppure comune, che sia tutto un semplice incubo, il misero sogno di un uomo comune.
Cala il sipario.
(Luisa Debenedetti)



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