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Biografia:
Nato a Napoli, ha concentrato i suoi studi particolarmente su Massoneria e alchimia. Dopo un lungo viaggio in giro per l'Europa ha dato vita al personaggio di Lorenzo Aragona, sempre in bilico tra avventura ed esoterismo. Grazie al selfpublishing ha venduto migliaia di copie del suo ebook in pochissime settimane.

Intervista:
Tatiana: Ciao Martin, grazie per il tempo che ci dedichi, siamo felicissimi di scambiare qualche parola con te e toglierci alcune curiosità.
Prima di tutto come stai? Come hai passato il periodo folle del lock down causa Covid? Sono stati giorni che ti hanno permesso di concentrarti maggiormente sulla scrittura, permettendo così la nascita de "Il cacciatore di tarante", o era comunque un progetto già avviato?
Martin: Ciao Tatiana,
Sto benone, direi. Essere forzati a restare in casa, col silenzio fuori dalla finestra è stato per me perfetto. So che non è stato così per tutti, e in ogni caso parliamo di una tragedia per tante persone. Io personalmente ho lavorato all'editing di Il cacciatore di tarante (già terminato da parecchi mesi), ho scritto I sotterranei di Torino (questo sì, partorito interamente durante il lockdown), e scritto un centinaio di cartelle di un nuovo romanzo.

Tatiana: Dopo la Parthenope Trilogy e la Prophetiae Saga, nuovi personaggi: sempre ricchi di fascino, immersi nel territorio teatro delle vicende e in misteri che posseggono quel collegamento esoterico, oltre il velo, che tanto intriga. Giovanni Dell'Olmo e Carlo Caracciolo de Sangro sono due uomini molto diversi fra loro, non solo per le città dove vivono, ma proprio caratterialmente. Insieme funzionano benissimo, si completano, preservando sempre e comunque la propria individualità. E' stato difficile crearli?
Martin: Avevo in mente da anni una coppia del genere. Volevo creare un cortocircuito tra due mentalità molto in contrasto tra loro, in un'epoca che solo in apparenza è lontana dalla nostra. Il conflitto tra nord e sud, seppure in modi diversi ovviamente, è ancora in atto nel nostro Paese, e questo mi fa soffrire molto. Una volta avuto chiaro in mente, in maniera grossolana, come dovessero essere i due protagonisti, il lavoro è stato facile: essi stessi mi hanno rivelato, passo dopo passo, le particolarità del loro carattere.

Tatiana: Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, è una figura leggendaria che perpetua la sua vita attraverso opere controverse: genio o folle, grande artista oppure assassino. Tu scegli di non puntare su di lui, limitandoti a sottolineare il legame di parentela con il personaggio di Carlo. Nei tuoi romanzi risulta davvero difficile distinguere la realtà storica dalla tua creatività, tutto appare coerente, reale, vero. Quanto c'è di storico in Carlo? Perché lui piuttosto che Raimondo? Trovi quest'ultimo troppo inflazionato? Una sfida già vinta in partenza?
Martin: Raimondo de Sangro è un vecchio amico al quale torno a far visita ogni tanto. Non era folle, men che meno un assassino (queste sono cose per fortuna ormai relegate all'aspetto favolistico della sua leggenda nera), ma di sicuro una mente brillante e curiosa di tutto. Il mio Carlo è una sorta di versione ottocentesca del suo avo, ma assai più lugubre, perché Raimondo de Sangro, da quel che i suoi contemporanei ci dicono, era una persona gioviale e divertente. Non ho posto lui al centro del racconto semplicemente perché l'epoca che volevo descrivere era diversa: io volevo un periodo storico vicino all'Unità d'Italia, perché volevo narrare lo scontro-incontro tra un personaggio del nord e uno del sud in quella precisa epoca.
Sono certo che tornerò a parlare di Raimondo de Sangro, magari mettendolo al centro di una vicenda tutta sua.

Tatiana: Per il lettore è una fascinazione ricercare l'autore nei suoi personaggi. Visto che ho l'opportunità di chiedere a te direttamente, mi piacerebbe sapere in chi, nel romanzo, ritroviamo Martin Rua?
Martin: In genere io sono parcellizzato in più personaggi. Io sono l'aspetto lunatico di Carlo e la passione per la buona tavola di Giovanni; sono la sensualità di Anita e la bonomia di Nicola Tortorelli. E sono anche l'anima nera dei personaggi negativi. Perché non può esservi luce senza ombra.

Tatiana: Ne "Il cacciatore di tarante" scopriamo il Salento, lo sentiamo vivere attraverso le credenze e le indoli dei suoi abitanti. Quanto è importante la territorialità nelle opere di un autore?
Martin: Dipende dalla storia. Ci sono romanzi spettacolari per i quali è sufficiente un'unico scenario perché funzionino (mi viene in mente Il nome della rosa). Nel caso di Il cacciatore di tarante è ovvio che non avrei potuto scrivere la storia che ho scritto senza il Salento, i suoi colori, i suoi sapori e, soprattutto, le sue tradizioni e la sua musica.

Tatiana: Il mese scorso mi è accaduta una cosa banalissima: mi è entrato un non meglio identificato "bestio" (io li chiamo così), in casa. Mi sono un po' spaventata, minimizziamo che è meglio, poi ho scoperto che era un ragno e mi sono tranquillizzata. Un innocuo ragnetto che vuoi che sia. Arriva il tuo libro ed ecco... tarante, ragni violino, pizzichi, veleno, taratelle, morti, una meraviglia. Quindi, dopo avermi scatenato una bella aracnofobia, vorrei sapere: perché? Cosa ti ha portato a creare un romanzo coi ragni come protagonisti?
Martin: Il tarantismo mi ha molto interessato fin dagli studi antropologici all'università, e di conseguenza quando ho immaginato un giallo storico, ambientato nel profondo sud, ho trovato la mia occasione per parlarne. I ragni poi sono affascinanti (lo so, non per tutti!) e affascinante è il simbolismo che a essi si accompagna: nel mio romanzo, per esempio, c'è un forte richiamo al mito di Arianna (nome di mia nipote, tra l'altro, e della cittadina immaginaria da me inventata) e al simbolo del labirinto. Luogo fisico o ideale in cui l'anima si perde, subisce una mutazione e ne esce diversa.

Tatiana: Prima de "Il cacciatore di tarante" ho letto e recensito il prequel, "I sotterranei di Torino", dove permetti al lettore di fare la conoscenza con Giovanni Dell'Olmo. Ti dico che nel romanzo mi aspettavo uno sviluppo che coinvolgesse Ermete, il personaggio che si rivela alla fine del prequel. Così non è stato, tanto per confermare che dagli autori ci si devono aspettare sorprese, sempre. Avremo, in futuro, il piacere di approfondire anche le questioni sollevate da Ermete?
Martin: La brevità di I sotterranei di Torino non mi consentiva di approfondire troppo i personaggi e le tematiche, lo stesso Dell'Olmo è solo una bozza di quel che si vede in Il cacciatore di tarante. Ho voluto però lanciare qualche suggestione, di cui il personaggio di Ermete è uno dei messaggeri. Se dovessi tornare a raccontare di Torino, i suoi misteri saranno di certo al centro di quel che eventualmente scriverò.

Tatiana: Ho davvero apprezzato ne "Il cacciatore di tarante" l'alchimia che si instaura tra "il maledetto napoletano ostinato" e "l'insopportabile torinese borioso". I loro dialoghi sono brillanti, colorati da una leggera ironia che concede respiro dall'intensità della trama. Li rivedremo? Hai già in mente altre situazioni, ad alto tasso misterico, per loro?
Martin: Vediamo come va questo libro. Se, incrociando le dita, ai lettori dovesse piacere, sono certo che Rizzoli sarebbe ben lieta di pubblicare un seguito. Inutile dire che nella mia mente sia Dell'Olmo che Caracciolo de Sangro stanno già vivendo altre avventure.

Tatiana: I tuoi studi (ti sei laureato in Scienze Politiche con una tesi in Storia delle religioni) influenzano sicuramente le tue opere. Come è nato in te l'interesse per massoneria, alchimia e affini?
Martin: Storia lunghissima che farò breve. Da sempre appassionato di cose misteriose, col tempo questo interesse è andato coagulandosi attorno a due o tre argomenti in particolare, tra di essi la massoneria, certo, ma anche l'alchimia e le correnti ermetiche tra Medioevo ed età moderna.

Tatiana: Se ti chiedessi una frase, o un concetto che hai espresso ne "Il cacciatore di tarante" e che ami particolarmente, me lo indicheresti?
Martin: Ci sono tanti passaggi significativi, ma una frase interessante, pronunciata da Carlo durante uno dei suoi tentativi di fare capire a Giovanni cosa sia il tarantismo, è questa qui:
"In Puglia, essere pizzicati da un ragno, o calati, come dicono lì, significa smarrirsi nell'ignoto, lontani dalle angosce di una vita di stenti."
Nello stesso dialogo, sempre Carlo usa l'espressione metafisica contadina per descrivere, davvero in due parole, cosa possa essere, tra le altre cose, il tarantismo. Ecco, questi due concetti mi tornano spesso in mente, mutuati, del resto, degli studi di Ernesto de Martino sul tarantismo.

Tatiana: Sei stato gentilissimo a dedicarmi questo tempo e queste risposte che condivideremo con i nostri lettori. Prima di lasciarti vorrei che ti facessi un augurio per il futuro. Chissà che magari il pensiero, condiviso con il tuo pubblico, non si realizzi!
Martin: Vorrei che questo libro facesse davvero un gran bel baccano, e che arrivasse al cuore di tanti. Profondo come un battito di tammorra...

Tatiana: Grazie, al prossimo libro!
Martin: Grazie a voi!



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