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Genere: Narrativa

Trama:
Un tempo in Grecia, quando i componenti di una famiglia dovevano allontanarsi l'uno dall'altro per lunghi periodi, era usanza rompere un piatto e distribuire i pezzi tra i membri della famiglia; piatto che si sarebbe ricomposto solo quando tutti si fossero ritrovati. Da qui parte Agrimonia di Cristina Eléni Kontoglou, una raccolta di racconti che sfiora spesso la poesia, un'analisi autoptica dell'Essere, concepita per frangenti e frattali identitari, tra l'esserci stati e l'essere stati assenti. Sullo sfondo passato e presente, ricordi dislocati tra Italia e Grecia, le due terre d'origine dell'autrice, luoghi che si fanno punti di snodo centrali tra la dimensione anamnestica e il passo sfuggente della modernità, rappresi in un linguaggio fotografico, iconico, evocativo. Agrimonia è un tentativo di ritrovarsi sulla linea retta che congiunge le parentesi mai chiuse, senza lesinare le atmosfere noir, avvolte dall'irrequietezza di chi contempla ben oltre il visibile.

Recensione:
La raccolta di racconti, "Agrimonia", di Cristina Eléni Kontoglou mi ha confermato quello che avevo riscontrato nella precedente silloge "Volturno arcano". La scelta di scrivere racconti, più o meno brevi, dimostra, inequivocabilmente, la forza della parola, ma anche filosofia e, oserei dire, una psicologia della Kontoglou. Psicologia perché spesso, quando penso ai suoi testi, mi viene quasi spontaneo pensarli come parti di uno studio psicologico, uno scandaglio vivo, curioso e mutevole sull'animo e sulla psiche umani. I suoi racconti, sembrano vere e proprie particelle di psiche che affiorano attraverso i ricordi, vedono la luce e illuminano passato e presente con le loro pulsioni, le reazioni, le attese umane. In Cristina tutto è centrato sull'essere padrona del proprio destino, senza attendere l'intervento divino, che infatti è assente o presenzia in modo arcaico, quasi totemico, attraverso la sua emanazione più visibile: la Natura. E il divino non è mai padrone dei destini, artefice del fato o monarca dei sentimenti, della liceità delle posizioni, lo scettro del giudizio e delle scelte, con il suo inalienabile peso, è affidato all'essere - in senso di quintessenziale sostanza - umano, carico di dubbi, di incertezze, di paure e sogni. Gli attori di questi racconti/ricordi sono guidati da una luce, interiore ed astrale, capace di squarci nel cielo azzurro, a dispetto degli enormi nuvoloni che si addensano sulle loro teste; essi incedono su petraie, tra alberi, giardini, specchi d'acqua, si bagnano in diversi mari, questi elementi sono molto presenti nella scrittura, mai come sfondo o scenografia ma come elementi vivi: la voce della natura è forte, si fa richiamo, monito e spiegazione tra le pagine.
La percezione chiara, a mio avviso, è che la nascita dei racconti si debba ad un "miracoloso" cortocircuito fra la "grecità" e l'italianità dell'Autrice. Ci troviamo di fronte a frammenti strappati dalla carne viva della poesia, immersi nella materia sfuggente e misteriosa del sogno, del ricordo e della fantasia propria, che hanno dato vita a questa raccolta di racconti poetici, racconti a cui non è sempre agevole accedere.
La prima impressione leggendo? Ah la letteratura, che bellezza! Perché la mano della Kontoglou è quella dell'orafo che cesella con gusto raffinato, le frasi sono pensate da orafo e l'orecchio, come quello di un bravo musicista, fa sì che la melodia non stoni mai, le frasi si susseguono armoniche, con respiro sinfonico, sinfonia, che nei racconti si fa breve, concisa, urgente direi, ma mai affrettata o troppo stringata. L'Autrice si prende il suo tempo, racconta con calma, svela l'arcano del suo essere con un passo che, prima di posarsi, saggia brevemente il terreno per non posarsi su qualcosa di instabile. La scrittura di Cristina ha una sorgente antica, ma le frasi hanno una bellezza cubista, le parole sembrano essere squadrate con perizia ma non per incastrarsi perfettamente le una nelle altre.
"Il cubismo non è il parallelismo", e infatti, in queste costruzioni affascinanti, le forme e i volumi sono accostati in modo ammirevole ma mai scontato, in modo da far passare al lettore l'immagine esatta che l'Autrice vuole trasmettere. Poi, all'improvviso, giunge una metafora a sbilanciare, a spostare il baricentro del sentire verso altezze o precipizi inattesi, quasi disarcionando il lettore, ma si sa quanto per un lettore l'inatteso sia fonte di godimento. Questi sbilanciamenti rendono visibile lo spigolo del cubo, svelano lo slittamento tra i due piani di realtà, passato e presente, l'onirico e il reale.
Passeggiando negli scenari, mirabilmente costruiti per accogliere le vicende narrate nei racconti, si ha l'impressione che in ogni angolo, risorgano, dallo scrigno fatto di passato, di ricordi, di sensazioni, prima fra tutti la Verità. Ed è la verità del sentimento a costituire la materia con cui la Kontoglou costruisce le sue scritture, è la verità che rende la scrittura capace di svelare il passato, renderlo presente e proiettarlo verso il futuro. Perché senza verità non vi è sentimento, i ricordi sono scatole vuote, le parole non sono poesia - o racconto - sono ellissi disegnate su di una nuvola, sono parole spese nel vento. Le parole di Cristina, invece, hanno la verità del vento, la verità dell'aria, la solidità dell'acqua perché sorrette da un sentire di sentimenti forte, vero, vissuto. Non immaginato ma vissuto; l'Autrice esce di prepotenza dallo scrivere, diventa tangibile - tridimensionale - ed è la verità del sentimento a donare a un foglio di carta le dimensioni che gli mancano? Non lo so, ma è quel che mi accade leggendo questi racconti: basta un istante affinché il reale scivoli verso un reale differente, quel che era visibile assuma un'altra forma: forse cambia di sostanza, o quel che cambia è solo il mio occhio di osservatore?
Accanto alla ricerca di qualcosa che sfugge, a volte sembra di intravedere il timore di non raggiungere un ideale più alto, dimostrazione di una costante ricerca, e di una continua attenzione al mondo circostante per trovare qualcosa o ritrovare qualcosa che è sfuggito; e con la ricerca giunge anche la domanda: ma cosa cerco cercando? Cosa troverò? Veramente voglio trovare quel che cerco? Domande che simboleggiano una paura atavica e vibrano in questi racconti. Sottolineo che non condanno la paura, non la giudico una debolezza, assolutamente no, è una forza: è umiltà, è la ricerca, è il volerla capire per sconfiggerla. La paura si guarda, se si è uomini, la si nasconde se non lo si è, e l'Autrice la guarda, la scruta ce la fa vedere perché vi combatte la sua lotta.
Il titolo di questa raccolta è il nome di un fiore che, nell'antica Grecia, era associato alla dea Artemide, nota per le sue capacità curative, in questo caso simboleggia la resilienza, la resistenza, il coraggio e la forza di fronte alle avversità, aiuta le persone a connettersi con il proprio sé interiore e a sbloccare il proprio potenziale creativo.
(Luisa Debenedetti)

Citazioni da questo libro:
Come quei luoghi che contengono un po' di passato, una percentuale di ricordo non reale, e di dejà vu. Quando mi trovo lì, penso a tutto quello che non ha niente a che fare con quel posto, e che da quel momento ne avrà sempre a che fare.

Il male stanca, la cattiveria annoia, produce un adeguarsi, un'abitudine insonorizzata. Lo dico da chi nella cattiveria ci è cresciuta per alcuni periodi, immersa nella normalizzata cattiveria altrui. La cattiveria è stucchevole.

Della stessa autrice:
Volturno Arcano



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