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Genere: Narrativa

Trama:
Con un viaggio in Africa, Michele vorrebbe prendere le distanze dalla realtà di uomo solo che lo affligge a Bologna. In un luogo esotico e lussureggiante spera di ritrovare se stesso, ma la sua vita si intreccia alle vicende di Nick, un inglese idealista, Jürgen, un tedesco alla disperata ricerca del fratello, e Sonia, la passionale direttrice dell'albergo dove i tre soggiornano. Dimentico dei suoi propositi iniziali, si lascia trascinare nel mistero che avvolge la scomparsa del fratello di Jürgen, gettandosi in una avventurosa e pericolosa ricerca; i sentimenti però non si sopiscono a comando e l'uomo rimane preda dei propri tumulti interiori. Nel corso delle sorprendenti vicende che lo coinvolgono, Michele continua infatti, fra delusioni e speranze, a tormentarsi e a chiedersi se sia per lui ancora possibile a cinquant'anni costruirsi un nuovo destino di uomo, padre e amico.

Recensione:
"Cercando la mia Itaca" è un bel romanzo di Fulvio Drigani che si presenta da solo con l'ottima scelta dell'esergo, in questo caso triplice.
Il romanzo, raccontato in prima persona dal protagonista Michele, è assolutamente avvincente, del tutto privo di orpelli o parti superflue: scivola, pagina dopo pagina, con una forza che si manifesta sorniona lungo tutto il libro, catturando il lettore. E' uno di quei romanzi da cui è difficile staccarsi, viaggia su due binari: uno è la ricerca di Michele del proprio equilibrio interiore ed il tentativo di risveglio dal torpore in cui è precipitato, l'altro è la ricerca della giustizia e della verità rispetto ad una situazione avventurosa in cui viene coinvolto da Jürgen, un tedesco alla ricerca del fratello scomparso, e da Nick un giovane britannico entrambi ospiti del medesimo residence in Africa.
Michele si trova così, in varie occasioni, a dover mettere alla prova la propria capacità di mantenere un atteggiamento equo di fronte alle diverse situazioni che lo vedranno coinvolto e che metteranno in evidenza le ingiustizie e le lacerazioni sociali che sconvolgono quell'area del mondo.
Un qualunque, ulteriore, accenno alla trama temo possa impoverire il gusto di chi leggerà il libro, e mi rendo conto che il voler sintetizzare il romanzo lo renda inevitabilmente banale. Mi sembra arduo riprodurre quell'atmosfera tersa che sovrasta il romanzo, ricostruire in poche righe, i tormenti di un'anima, le sue peregrinazioni, i sentimenti che legano di legami, invisibili ma tenaci, le vite delle persone, l'amore che diventa morboso, l'attrazione che nasconde altro, il rimpianto, la perdita. Sono questi alcuni degli elementi che Drigani impiega nel suo romanzo, ma il lettore ha costantemente l'impressione che dietro le parole, o gli accadimenti, vi sia qualcos'altro, che sfugge, che si paleserà più avanti, oppure che già c'era ma è sfuggito. Nulla di tutto ciò, il romanzo è assolutamente liquido, cambia di forma secondo il punto in cui si trova la vicenda; per proseguire il paragone, questa viene raccolta in diversi contenitori e ne assume la forma ma senza cambiare di sostanza, la narrazione viene portata avanti cambiando il punto di osservazione, arricchendosi di ciò che non è in primo piano in quel momento, espandendosi lungo il corso del tempo, due settimane e poi "altri giorni... e mesi e un anno", attraversa cambiamenti personali e intimi, alcuni destinati a svanire o rimanere un ricordo lontano e allontanato ma che hanno avuto un ruolo importante nel ritorno di Michele/Ulisse alla sua Itaca.
La moralità sembra apparire come uno dei cardini dell'opera, ma anch'essa non sfugge all'ellitticità del romanzo. Qual è la morale da applicare? Quella che fa confessare un fatto atroce o quella che scava un animo dal di dentro e lo fa capace di pensieri che possono sembrare mostruosi? La verità è quella sotto gli occhi di tutti o si nasconde altrove? Oppure, ancora, la si può ricreare, attraverso artifici o facendola apparire tale solo perché sapientemente inventata? E ancora, come una persona mostruosa nell'animo può legarne a sé una pura, forse nel modo in cui vittima e carnefice esistono l'una in funzione dell'altro, quasi un rapporto simbiotico tra creatore e creato, tra colui che schiude un mondo e l'altro che ne resta affascinato sebbene ne voglia fuggire?
Un romanzo di cui consiglio la lettura, facendosi trasportare e coinvolgere dall'io narrante, così da viverne i tormenti e i dubbi, "le discese ardite, poi le risalite" di un'anima che si era persa e faticosamente cerca di ritrovarsi.
(Luisa Debenedetti)

Citazioni da questo libro:
"Ero affascinato all'idea e non provavo neanche un minimo di paura per i possibili rischi ai quali potevamo andare incontro."

"L'Africa ci insegna che Dio e il Diavolo sono in realtà uno, aveva scritto Karen Blixen, e purtroppo era proprio vero. Stando sull'altopiano, come si poteva solo pensare che il Bene fosse l'unico padrone dell'universo?"

"Sono convinto che (...) di fronte alla morte, ci si debba comportare umanamente anche con chi, da vivo, non se l'era meritato."

"Proprio con lei, seppur timidamente, ero riuscito a uscire dal mio guscio e avevo riassaporato il gusto del corteggiamento."

"Chissà cosa scriverebbe Pirandello, pensai, se potesse rinascere nell'epoca dei social; come reagirebbe alla migrazione delle sue maschere dal corpo degli uomini all'immaterialità della rete?"

"Intanto, lentamente, impercettibilmente, sono rinati in me giorno dopo giorno il piacere per le piccole cose, la voglia di comunicare e addirittura il desiderio d'amore e ho pure ripreso a sognare a occhi aperti, finché mi è tornata perfino una gioia infantile di vivere. A quel punto ho capito che il viaggio in Africa era giunto al termine. Avevo finalmente trovato dentro di me la mia Itaca."

Dello stesso autore:
#ColVentoInPoppa



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